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Dal carcere al Cie, l’Italia fermi l’espulsione di Abdel Touil

carcereAi suoi legali, Sil­via Fio­ren­tino e Guido Savio, il ven­ti­duenne maroc­chino Abdel­ma­jid Touil è apparso «in con­di­zioni fisi­che e soprat­tutto psi­chi­che gra­ve­mente com­pro­messe» e ancora: «lo sguardo perso nel vuoto, inca­pace di rico­no­scere le per­sone» com­prese quelle con le quali ha avuto qual­che dime­sti­chezza in un pas­sato assai recente. Per la verità, non è raro che in un Cen­tro di iden­ti­fi­ca­zione ed espul­sione (Cie), come quello in cui ora è trat­te­nuto Touil, a Torino, le per­sone si tro­vino in un simile stato.

Io, il gio­vane maroc­chino, l’ho incon­trato cin­que giorni fa nella sua cella, nel car­cere di Opera, nei pressi di Milano. Abdel è alto circa un metro e ottanta e di bell’aspetto. In quella cir­co­stanza indossa una felpa scura e i pan­ta­loni di una tuta e, ai piedi, un paio di infra­dito azzurre, la cal­za­tura più dif­fusa in tutte le car­ceri ita­liane. Rispetto alle foto pub­bli­cate la scorsa pri­ma­vera, mi appare sma­grito e sca­vato. E, soprat­tutto, come ran­nic­chiato in se stesso, le spalle strette e lo sguardo smarrito.

Ha vis­suto in una con­di­zione di auten­tico panico le ultime set­ti­mane, atter­rito dalla pre­oc­cu­pa­zione che la sen­tenza di un tri­bu­nale ita­liano potesse respin­gerlo in quella Tuni­sia dove è indi­cato come cor­re­spon­sa­bile di un’atroce e san­gui­nosa strage. Di con­se­guenza, non mi è dif­fi­cile imma­gi­nare, che que­sto gio­vane uomo, libe­rato mer­co­ledì mat­tina e, appena poche ore dopo, nuo­va­mente rin­chiuso in un luogo che può risul­tare «peg­gio di un car­cere» (secondo un’opinione dif­fusa), sia pre­ci­pi­tato in un pro­fondo stato con­fu­sio­nale. Anche per­ché, va detto, la pro­spet­tiva temuta fino a 48 ore fa e, poi, in appa­renza sven­tata, ora sem­bra ripro­porsi inal­te­rata e altret­tanto minac­ciosa: respinto nel pro­prio paese di nascita, il Marocco, diventa alta­mente pro­ba­bile l’estradizione in Tuni­sia. Oltre­tutto, Abdel pro­viene da una situa­zione di penu­ria estrema sotto il pro­filo sociale e cul­tu­rale, e ha vis­suto, nei cin­que mesi di deten­zione, come pre­ci­pi­tato in un uni­verso total­mente sco­no­sciuto. Una cella di una isti­tu­zione di un paese del quale sem­bra igno­rare tutto: legge e con­sue­tu­dini, lin­gua e valori. Final­mente usci­tone, ora si trova in una isti­tu­zione, se pos­si­bile, ancora più cru­dele, e senza nem­meno le regole, i codici e le gerar­chie che ammi­ni­strano la vita car­ce­ra­ria assi­cu­ran­dole almeno un po’ di razionalità.

Ma per­ché mai Abdel è stato con­dotto qui? L’altro ieri, non solo è stata respinta la richie­sta di estra­di­zione ma è acca­duto che la pro­cura di Milano archi­viasse le inda­gini per ter­ro­ri­smo inter­na­zio­nale e strage, dal momento che gli indizi a suo carico sono risul­tati assai fra­gili e deci­sa­mente non atten­di­bili. Ciò nono­stante, Abdel è stato imme­dia­ta­mente tra­sfe­rito nel Cie di Torino, desti­nato a un imme­diato rim­pa­trio. Ma chi ci assi­cura che non sarà il Marocco a con­se­gnarlo alla poco affi­da­bile giu­sti­zia tuni­sina? Insomma, quali garan­zie ci sono a tutela della sua inco­lu­mità? Dopo cin­que mesi di pesante deten­zione, rive­la­tasi del tutto immo­ti­vata e inu­til­mente afflit­tiva, pos­si­bile che non si tro­vasse una diversa solu­zione? Sua madre è rego­lar­mente resi­dente a Gag­giano, a pochi chi­lo­me­tri da Milano, da 9–10 anni e li vivono anche un fra­tello e una sorella. E sem­pre lì Abdel Touil si era recato ad abi­tare, nella casa della madre, appena sbar­cato in Ita­lia; e nella vicina Trez­zano sul Navi­glio aveva ini­ziato a fre­quen­tare con assi­duità un corso per l’apprendimento della lin­gua italiana.

Tutto ciò e la sen­tenza della Corte d’appello di Milano dovreb­bero costi­tuire una ragione più che suf­fi­ciente per con­ce­der­gli, il prima pos­si­bile, la pro­te­zione inter­na­zio­nale, pro­prio per evi­tare che la sua vita sia ancora messa in peri­colo. E pro­prio per­ché una misura di pro­te­zione gli per­met­te­rebbe di por­tare avanti il per­corso di inte­gra­zione intra­preso lo scorso feb­braio. Ma il suo piano di inse­ri­mento è stato bru­tal­mente inter­rotto prima dalla deten­zione nel car­cere di Opera e ora dal trat­te­ni­mento nel Cie di Torino. Il rila­scio di un per­messo di sog­giorno sarebbe un dove­roso risar­ci­mento. Guai se l’Italia, dopo aver inflitto a Touil un’inutile car­ce­ra­zione, e dopo aver mostrato il suo volto migliore e più garan­ti­sta con la sen­tenza della quinta sezione penale della Corte d’appello di Milano, ne met­tesse nuo­va­mente a repen­ta­glio l’incolumità e il futuro. Sarebbe, come oppor­tu­na­mente scri­vono i suoi avvo­cati, una rie­di­zione dello scia­gu­rato «caso Shalabayeva».

(Luigi Manconi, www.ilmanifesto.info, 29.10.2015)