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Giudice Pilato o esercizio di potere ?

judge-158269_640Dalla stampa di questi giorni si apprende che un Giudice di Treviso intimorito dalla nuova disciplina sulla responsabilità civile dei magistrati ha preferito non pronunciare la sentenza e si è rivolto alla Corte Costituzionale dubitando della legittimità della norma che ha introdotto il travisamento del fatto o della prova quale fonte di responsabilità civile del magistrato.
Il processo si basava solo su elementi indiziari e dunque, la valutazione di questi sarebbe <<particolarmente difficile e “rischiosa”>>, con la conseguenza che, stando a quanto si legge nell’ordinanza di rimessione, il Giudice “quale essere umano” “sarà portato, ad assumere soprattutto nei casi più difficili […] la decisione meno rischiosa che, nel processo penale, è quasi sempre identificabile nell’assoluzione” e questo per non subire il rischio di una possibile azione di risarcimento del danno da parte dello Stato.
Di fronte ad un’affermazione di tale tenore, superato l’iniziale momento di sgomento, sorge la necessità in primo luogo di ricordare l’ovvio: se la prova della colpevolezza non è raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio, l’unica pronuncia possibile è quella di assoluzione.
Posto che questo Giudice prima ancora che timoroso è, evidentemente, dubbioso, l’assoluzione è l’unica soluzione possibile e non per paura di improbabili azioni risarcitorie ma, semplicemente, perché lo prevede il codice di rito.
Nel merito il rimettente, malgrado sia dotato di una particolare sensibilità rispetto alle proprie responsabilità professionali, potrà dormire sonni tranquilli per una serie consistente di ragioni tra le quali basta ricordare la più importante: l’azione di rivalsa dello Stato può essere esercitata solo quando il Giudice non solo abbia “travisato” (e non erroneamente valutato) il fatto o le prove, ma lo abbia fatto con dolo (quindi volontariamente), o con negligenza inescusabile.
Poiché di negligenza si può parlare quando l’atto è assunto con trascuratezza, incuria, grave dimenticanza è sufficiente che il Giudice operi con una diligenza ordinaria e dia conto nella motivazione del percorso logico in base al quale ha valutato il materiale probatorio, perché sia del tutto fuori luogo ogni accenno ad una possibile responsabilità risarcitoria, anche se la sentenza dovesse poi essere integralmente riformata nei successivi gradi di giudizio.
Ciò a tacere del fatto che neppure il Giudice negligente, che abbia travisato il fatto o la prova, può per ciò solo essere chiamato a risponderne, ed infatti l’attuale disciplina richiede qualcosa in più, ovvero che la negligenza sia di tale gravità da essere “inescusabile”; al di fuori di questa ipotesi non sussiste alcuna responsabilità civile del magistrato.
Si aggiunga poi, che stando ai dati forniti dal Ministero, ad oggi sarebbero state avviate solo sette azioni di responsabilità nei confronti dello Stato e quindi, le previsioni catastrofiche elaborate per scopi fin troppo manifesti da certa parte della magistratura, hanno rivelato immediatamente tutta la loro inconsistenza.
Certo leggendo l’ordinanza e pensando a quanti magistrati si assumano quotidianamente ben altre responsabilità, che talvolta li espongono anche al rischio della vita, la preoccupazione del Giudice di Treviso (che tra l’altro non pagherebbe nulla comunque perché assicurato, come tutti i magistrati) sarebbe apparsa quasi offensiva per l’intera categoria, se non fosse stata seguita da dichiarazioni di pronta condivisione del Presidente locale di ANM e, anche se in termini meno espliciti, dal Presidente nazionale della stessa Associazione.
Il tema, evidentemente, più che il timore di manzoniana memoria parrebbe essere il medesimo che ha accompagnato l’intero iter di approvazione della legge, ovvero una prova di forza tutta di carattere politico tra quei magistrati che ritengono sia oltraggioso chiedere loro di rispondere di quello che fanno, anche quando lo fanno con dolo o con una negligenza tale da essere inescusabile.
Pensate a cosa accadrebbe se l’esempio del Giudice rimettente fosse seguito da altri come auspicato dai rappresentati di ANM: la paralisi della giustizia fino alla decisione della Corte Costituzionale.
Ed allora siamo ormai abituati ai magistrati “cantautori”, che prima scrivono leggi (dall’Ufficio Legislazione del Ministero, con pareri anche non richiesti del CSM, con audizioni nei due rami del Parlamento non solo di ANM, ma anche dei più famosi Procuratori di Italia) e poi le applicano riarrangiandole con lo strumento della giurisprudenza creativa (da ultimo basti l’esempio del caso Contrada sanzionato dalla Corte di Strasburgo), ma alla minaccia del blocco dell’intero sistema giudiziario per la difesa di interessi di categoria ancora non eravamo abituati, né intendiamo farlo per il futuro quasi che se si trattasse di una cosa normale in un sistema democratico.
Se poi, invece, ci dovessimo sbagliare e il Giudice rimettente fosse solo intimorito, allora forse ci si potrebbe limitare a constatare che, probabilmente, meglio avrebbe fatto a scegliere un mestiere che lo tenesse lontano dall’esercizio di qualunque potere e soprattutto dal potere di decidere della vita dei suoi simili; così certo sarebbe stato lontano da ogni preoccupazione, anche la più piccola.

(Unione delle Camere Penali – Roma 16 giugno 2015)